Premesse
La ricerca clinica sugli effetti della musica e della musicoterapia nella prematurità si consolida all’inizio anni ’90, giungendo ad una prima significativa meta-analisi, comprensiva di dieci studi (Standley, 2002), che individua nell’esposizione a ninne nanne pre-registrate e al canto materno, abbinato alla stimolazione multimodale, tecniche utili a supportare l’omeostasi del neonato prematuro, con effetti positivi sulla fisiologia (incremento dell’ossigenazione sanguigna) e sul comportamento (rinforzo della suzione non nutritiva). Nel decennio successivo, si delineano interventi sempre più strutturati (Standley, 2014; Loewy, 2014) che costituiscono vere e proprie sub-specializzazioni della professione musicoterapica, con l’obiettivo di connettere la pratica clinica alla ricerca e di raccogliere evidenze a favore dell’inclusione della musicoterapia nello standard di cura per il neonato pretermine. In seguito, il contributo delle neuroscienze (Haslbeck et al., 2017; Anderson & Patel, 2018; Filippa et al., 2019) e la focalizzazione sull’ interazione gesturale-sonora-vocale nella diade madre-bambino (Palazzi et al., 2020; Filippa et al., 2019), unitamente al recupero delle precedenti ricerche sulla musicalità comunicativa nelle proto-conversazioni (Malloch, 1999; Trevarthen, 2008), concorrono, negli studi più recenti, a delineare un quadro epistemologicamente completo e convincente sul piano qualitativo e quantitativo, aperto ad ulteriori prospettive di ricerca sugli effetti di lungo termine dell’intervento musicoterapico per questa popolazione. La pratica clinica della NICU Music Therapy A vent’anni dall’esordio, nel primo decennio degli anni Duemila, la pratica musicoterapica nella prematurità assume un contorno teorico definito, caratterizzato da una stretta partnership con la developmental care, dall’ attenzione ad outcome relativi ai parametri fisiologici nel breve termine e da una sempre più precisa connotazione tecnica dell’intervento, che ha luogo durante la permanenza del bambino nella terapia intensiva neonatale. Parallelamente al consolidamento delle tecniche, si sviluppano corsi di formazione riconosciuti dalla Certification Board for Music Therapy (USA), nell’ambito dell’educazione continua dei professionisti. Alle tre fasi della degenza in terapia intensiva, corrispondono diverse tecniche di intervento, così configurate (Standley, 2014):
Si sottolinea l’importanza del contatto con le figure genitoriali - in particolare con la figura materna - incluse nel processo terapeutico come parti attive dell’arricchimento sonoro-sociale dell’ambiente. I genitori sono supportati con interventi di counselling nel consolidamento delle loro competenze comunicative con il bambino, attraverso il canto di ninne nanne e l’infant direct speech, con l’obiettivo di sviluppare uno stile di attaccamento sicuro e di garantire un empowerment familiare, finalizzato a migliori outcome nel lungo termine. Progressivamente, negli anni, gli interventi si trasformano, passando dall’uso di musica pre-registrata, con meccanismi tipici di un approccio comportamentista, come nel caso del PAL (Pacifier Activated Lullaby), dispositivo medico, ideato da J. Standley (2014) per promuovere la suzione non nutritiva, alla valorizzazione della musica dal vivo, dell’interazione sociale con i genitori e della personalizzazione dell’offerta musicale, nell’ottica di un modello bio-psico-sociale di intervento. L’ ambiente sonoro intra-uterino viene ricostruito (tecnica First Sounds – Rhythm, Breath & Lullaby di J. Loewy, 2014), mediante l’utilizzo di strumenti con sonorità regressive (il gato box per riprodurre il battito cardiaco, l’ocean disc per rievocare sonorità acquatiche) e della voce, prestando attenzione all’ entrainment con il ritmo respiratorio del neonato, ricorrendo al canto di semplici melodie proprie della cultura d’origine, ricavate attraverso l’ anamnesi sonoro-musicale familiare o, in mancanza di queste, attingendo al repertorio standard occidentale delle ninne nanne. Da un interessante raffronto (Loewy, 2014) tra l’uso delle ninne nanne “di famiglia” e di una ninna nanna standard (Twinkle, Twinkle Little Star), emerge che entrambe le scelte si rivelano utili, con outcome fisiologici parzialmente migliori per la ninna nanna standard (ossigenazione del sangue) e migliori outcome fisiologici e comportamentali per la ninna nanna familiare (ritmo respiratorio e suzione), con ricadute positive sull’ ansia genitoriale. Nel 2016, una nuova meta-analisi (Bieleninik et al., 2016) comprensiva di 14 studi, per un totale di 964 neonati e 266 genitori coinvolti, rileva evidenze sufficienti a confermare gli effetti positivi della musicoterapia sul ritmo respiratorio dei neonati pretermine e sull’ ansia delle madri, sottolineando la necessità di includere valutazioni sugli effetti a lungo termine nel bambino e sull’ outcome psicologico della coppia genitoriale. Gli studi successivi (Haslbeck et al., 2017) confermano le scelte operative precedenti e definiscono gli outcome di lungo termine, aprendo il dialogo con le neuroscienze. I neonati prematuri sono vulnerabili a danni cerebrali, esacerbati dall’isolamento, dall’esposizione a stimoli estremi (rumori, suoni e luci artificiali), dalla deprivazione di sonorità significative (suoni e ritmi intrauterini), che concorrono ad effetti negativi di lungo termine nella sfera cognitiva, motoria e comportamentale. Un protocollo di ricerca (Haslbeck et al., 2017) nell’ambito della musicoterapia creativa, finalizzato a realizzare un RCT prospettico, con valutazioni a distanza di due e cinque anni, indica come la capacità della musica di promuovere il processo neurobiologico, favorendo la plasticità sinaptica, la formazione di reti neurali e l’apprendimento, unitamente alla predisposizione del feto e del neonato pretermine alle esperienze multisensoriali, possa condurre a benefici di lungo termine nella sfera emozionale, cognitivo-comportamentale e senso-motoria, misurabili attraverso il neuroimaging e la valutazione neurologica. Il contributo delle neuroscienze L’ emergere della prematurità come condizione in aumento (più di un bambino su dieci nasce prima della trentasettesima settimana di gestazione – Palazzi et al., 2020), con importanti ricadute sulla mortalità e morbilità infantile e sui deficit cognitivi a lungo termine, costituisce una sfida terapeutica complessa, alla quale danno un contributo fondamentale le neuroscienze (Anderson & Patel, 2018; Filippa et al., 2019), favorendo l’ analisi approfondita dei processi neurofisiologici che coinvolgono il neonato pretermine e la comprensione dell’articolato network neurale che la musica e il suono sono in grado di elicitare. Si individuano tre temi portanti (Anderson & Patel, 2018) e concomitanti nell’ esperienza della terapia intensiva neonatale: la rapida crescita cerebrale, la risposta di stress e la ridotta presenza genitoriale. L’ambiente della NICU, caratterizzato da luci, suoni e rumori stressogeni e dalla pratica di procedure invasive e disruptive dei cicli sonno-veglia, attraverso l’attivazione dell’ asse ipotalamo-ipofisi-surrene, induce nel bambino una ricorrente risposta neuroendocrina allo stress. La risposta ormonale impatta negativamente i parametri fisiologici (aumento del ritmo cardiaco e respiratorio, mobilizzazione di energia muscolare a breve termine) e sottrae energia allo sviluppo cerebrale, con ricadute negative sullo spessore corticale, sulla connettività funzionale e sulla sinaptogenesi. A questo si aggiunge la deprivazione del contatto con le figure genitoriali - in particolare con la figura materna - che, come documentato dalla animal research, costituisce un passaggio fondamentale per costruire nel bambino capacità di modulazione della risposta allo stress. In un contesto così configurato, il razionale per un uso terapeutico della musica si fonda sulle precoci abilità percettive e sulla capacità di processare gli stimoli uditivi, presente nel feto sin dalla ventiquattresima settimana (Anolli, 2002), unitamente alla disponibilità di un sistema limbico già sufficientemente formato per formulare una risposta fisiologica alla musica, con ricadute utili sul comportamento, in termini di arousal, nutrizione, stabilità dei cicli sonno-veglia e capacità di modulare la risposta al dolore. Si sottolinea l’importanza di un intervento musicoterapico condotto da un professionista adeguatamente formato, con musica dal vivo, calibrata sulla risposta del bambino e sull’ anamnesi sonoro-musicale della famiglia, inclusivo, ove possibile, delle figure genitoriali e in grado di veicolare un segnale sociale supportivo, inizialmente a surrogato del contatto fisico e, successivamente, ad integrazione delle stimolazioni multisensoriali. I ricercatori suggeriscono di orientare gli studi futuri alla valutazione di risultati di lungo termine sul neurosviluppo, misurati con indici neuroanatomici e comportamentali (Anderson & Patel, 2018). Le basi neuroscientifiche della percezione prenatale, perinatale e neonatale sono ulteriormente approfondite dagli studi più recenti (Filippa et al., 2019), che rilevano nel neonato pretermine una connettività funzionale precoce, con un’organizzazione del cervello fortemente orientata alla percezione multisensoriale, a vantaggio di una neuroplasticità attività-dipendente, che completa il corredo genetico, aprendo un’importante “finestra di opportunità” nel quadro patologico. Come l’adulto è maggiormente attivato dalla voce umana, rispetto agli stimoli sonori non vocali, così il neonato a termine è in grado di distinguere tra voce parlata e canto, e di processare il linguaggio nei suoi aspetti prosodici, sillabici e timbrici, con una lateralizzazione a sinistra per le proprietà fonetiche del linguaggio e a destra per le caratteristiche emozionali del linguaggio veicolate dalla prosodia (Filippa et al., 2019). Il neonato pretermine presenta invece alterazioni nell’ abilità di processare il linguaggio e di rilevarne il contorno melodico, ma è parimenti orientato al segnale vocale umano, riconoscendo sin dalla vita intrauterina la voce materna ed essendo in grado di “imparare” semplici melodie, ritenendole e preferendole dopo la nascita, attraverso un continuum transnatale (Anolli, 2002). La presenza di sonorità significative per il bambino è dunque determinante per garantire un’ appropriata maturazione del sistema uditivo e gli studi precedenti confermano che l’ esposizione a suoni e musica adeguata ha effetti positivi sulla connettività funzionale e sulla capacità di autoregolare le emozioni nei mesi successivi (follow up a 12 e 24 mesi), in assenza di documentati effetti negativi. In questo contesto, prende forma una tipologia di intervento denominata EVC (Early Vocal Contact – Filippa et al., 2019), che coinvolge attivamente i genitori nell’interazione vocale significativa con il prematuro. I punti di forza dell’EVC comprendono la multisensorialità, l’incentivo alla sincronicità e l’impatto sulle abilità comunicative reciproche. In particolare, la disregolazione biologica del bambino pretermine pare influire sulla naturale capacità dei genitori di interagire a livello sonoro con il bimbo, conducendo ad una asincronia specifica delle diadi nella prematurità. L’EVC incentiva l’esperienza ritmica condivisa, promuovendo la sincronia vocale-uditiva e favorendo quindi indirettamente la co-regolazione biologica tra il bambino e la madre, espressa dalla risposta ormonale e fisiologica di entrambi. La stimolazione multisensoriale trova corrispondenza nel funzionamento intermodale dei sistemi sensoriali del bambino, che è particolarmente sensibile alla sincronia audio-visuale, tipica delle operazioni di collegamento tra il parlato e il volto del parlante, con esiti sull’apprendimento e sull’uso della mimica facciale. L’EVC, infine, promuove la resilienza del bambino e il successivo sviluppo del linguaggio, prevenendo i disordini correlati alla perdita di stimoli uditivi biologicamente rilevanti, tipica dell’ambiente intensivo. Musicalità comunicativa e prematurità Nel maggio 2020 viene pubblicato un case study longitudinale (Palazzi et al., 2020), che, a partire dalla centralità della diade madre-bambino e attraverso l’empowerment della madre, delinea una modalità di intervento e di monitoraggio equilibrata negli aspetti quantitativi e qualitativi e saldamente ancorata alla teoria della Communicative Musicality (Malloch, 1999; Trevarthen, 2008). Lo studio prende in esame il caso di un bimbo prematuro di circa venticinque settimane, ricoverato nella terapia intensiva neonatale di un ospedale brasiliano in condizioni severe, e della madre trentaseienne, appartenenti al ceto povero. L’intervento musicoterapico prevede nove sessioni di 20/30 minuti a cadenza bisettimanale con la tecnica MUSIP, durante la degenza e nei quattro mesi successivi alle dimissioni. La madre è incoraggiata a cantare per il bambino anche in autonomia, ad integrazione spontanea del trattamento. La tecnica MUSIP, ispirata alle pratiche precedentemente descritte da Loewy (First Sounds – Loewy, 2014) e Haslbeck (Creative Music Therapy – Haslbeck et al., 2017), prevede un training destinato alla madre, al fine di consolidarne le naturali abilità di interazione vocale e gesturale con il bambino, potenziandone la capacità di cogliere le reazioni di quest’ultimo e di attuare un migliore coordinamento temporale degli scambi sociali nella diade, mediante l’uso di ninne nanne significative per la famiglia, cantate dalla madre con il supporto vocale-strumentale della musicoterapista, durante l’allattamento e nelle libere interazioni madre-bambino. Gli interventi sono videoregistrati e successivamente sottoposti a microanalisi per la valutazione della sincronicità e delle interazioni, con attenzione al verificarsi di co-occorrenze sonoro-gesturali. Vengono somministrate alla madre due interviste strutturate, prima e dopo il ciclo di trattamento, la prima intervista a scopo anamnestico-musicale e per valutare le aspettative terapeutiche, la seconda per raccoglierne le percezioni sull’esperienza. L’ analisi dei materiali audio-video mette in luce un più intenso verificarsi di comportamenti orientati all’interazione reciproca da parte della madre e del bambino durante e dopo il canto, in particolare nell’ambiente domestico, dove i comportamenti mostrano una maggiore diversificazione rispetto alla precedente fase di trattamento in terapia intensiva. Dall’ analisi testuale delle interviste emergono temi riconducibili all’empowerment personale, all’empowerment del bambino e al rafforzamento del legame. La madre riferisce di sentirsi più calma, in grado di esprimere le proprie emozioni e di contribuire al benessere del bambino, calmandolo e stimolandolo, in una prospettiva di avvicinamento e reciproca conoscenza. La messa a fuoco della sincronia nel presente studio rimanda in via diretta alla Communicative Musicality teorizzata da Malloch e Trevarthen, definita come “l’ interazione co-operativa e co-dipendente tra madre e neonato” da cui si evince che “il comportamento intuitivo della madre supporta le innate capacità comunicative del bambino” (Malloch, 1999), in quale è dotato di un “senso del tempo in movimento”, di un Intrinsic Motive Pulse (IMP – Trevarthen, 2008), che gli permette di agire con competenza nella sin-ritmicità improvvisativa delle proto-conversazioni. Le caratteristiche musicali delle proto-conversazioni diadiche si esprimono attraverso tre dimensioni, oggetto della meticolosa analisi acustica e spettrografica di S. Malloch: la pulsazione (pulse), la qualità (quality) e la narratività (narrative). La “pulsazione” rappresenta l’avvicendarsi degli eventi nel tempo, stratificati in sillabe, enunciati e frasi che si intersecano, dando vita ad uno schema ritmico inter-dipendente, in cui il neonato si mostra naturalmente abile e competente nel riconoscere il proprio turno all’interno del proto-dialogo, mentre la madre è in grado di operare inconsapevolmente piccoli aggiustamenti temporali, atti a correggere le proporzioni complessive dello scambio, conferendo regolarità e fluidità all’insieme. La “qualità” consiste nel contorno melodico e timbrico delle vocalizzazioni, caratterizzato dall’ imitazione reciproca di intervalli e direzionalità melodiche, ma anche dalla tendenza della madre a reinterpretare, enfatizzandole, le produzioni del bambino e a rendere la propria voce più simile a quella del piccolo, attraverso un atteggiamento prosodico e timbrico tipico, il motherese o parentese, che si riscontra in tutte le culture e che coinvolge anche le altre figure coinvolte nell’accudimento. La “narratività” è la combinazione dinamica della pulsazione e della qualità, all’interno di un movimento coordinato, fatto di vocalità e gestualità, che costituisce la vera essenza della comunicazione e, precorrendo il linguaggio, distingue l’essere umano dalle altre specie. Una prova del coinvolgimento del bambino come performer attivo in grado di provare interesse e piacere nello scambio comunicativo è data dall’ accelerazione del suo ritmo cardiaco in corrispondenza dello sforzo imitativo verso la madre, e dalla decelerazione del battito, laddove è il bambino ad offrire uno spunto per l’imitazione da parte dell’adulto. E’ interessante notare come le proto-conversazioni presentino naturalmente un periodo compreso tra i venti e i quaranta secondi, analogo ad intervalli misurabili nel tono vagale durante il sonno, in presenza di micro-arousals ciclici della corteccia cerebrale, ad indicare l’ipotesi che la diade sia in grado di condividere la regolazione di stati psicobiologici . Nelle madri con depressione post-partum si osserva un appiattimento della linea melodica e della varietà timbrica nella produzione vocale, unito ad un andamento mal sincronizzato e rallentato sul piano temporale dell’interazione, cui conseguono la perturbazione della relazione e il distress del bambino. E’ fondamentale che la madre risponda all’ orientamento comunicativo del neonato non in modo generico, distaccato o casuale, ma con segnali adeguatamente sincronizzati nel tempo e sintonizzati nell’ inflessione melodico-timbrica. La musicalità comunicativa è dunque un rituale mimetico (Trevarthen, 2008), in grado di veicolare metaforicamente a livello inter-intenzionale (Stern, 1987) un flusso di emozioni e di alludere ad una realtà affettiva, prima ancora che questa possa concretizzarsi come rappresentazione nella mente del bambino. Conclusioni La musicoterapia nella prematurità ci appare oggi una disciplina ben delineata negli aspetti teorici e clinici, caratterizzata da pratiche consolidate, antropologicamente informate, improntate all’ umanizzazione della cura e centrate sulla famiglia come soggetto attivo del processo terapeutico. L’ empowerment delle figure genitoriali, e in particolare della madre, consente di operare in direzione di una riappropriazione della salute, riducendo la medicalizzazione e unendo l’intervento terapeutico a quello educativo, con importanti ricadute sociali ed economiche. La ricerca attualmente disponibile fornisce evidenze di buona qualità per quanto riguarda gli effetti nel breve termine sui parametri fisiologici e comportamentali del bambino, mentre sono in corso ulteriori promettenti filoni di ricerca per la valutazione degli outcome neuroanatomici e cognitivo-comportamentali a lungo termine. Attraverso il modello della communicative musicality, così rilevante nel supportare il razionale dell’intervento musicoterapico nella prematurità, comprendiamo come “la vitalità umana agisce, si auto-regola, forma relazioni intime e anche come si difende quando l’ambiente fisico o sociale la mettono a rischio, e come può indebolirsi a causa della malattia” (Trevarthen, 2008). Lo studio delle forme primarie della comunicazione e dei loro correlati neurofisiologici e psicobiologici fornisce dunque un paradigma teorico interdisciplinare, che va oltre la pratica clinica specifica, illuminando globalmente tutta la riflessione sulla musicoterapia e sulla natura stessa della comunicazione e delle relazioni umane, che la metafora musicale consente di leggere in una felice convergenza di valori estetici, intellettuali e morali. Bibliografia: Standley, J.M. (2002). A Meta-Analysis of the Efficacy of Music Therapy for Premature Infants Journal of Pediatric Nursing, Vol. 17, No. 2 Standley, J.M. (2014). Premature Infants: Perspectives on NICU-MT Practice Voices, Vol. 14, No. 2 Loewy, J. (2014). NICU music therapy: song of kin as critical lullaby in research and practice. Ann. N.Y. Acad. Sci. Bieleninik, Ł., Ghetti, C., Gold, C. (2016). Music Therapy for Preterm Infants and Their Parents: A Meta- analysis. Pediatrics Haslbeck, F.B., Bucher, H.U., Bassler, D., Hagmann, C. (2017). Creative music therapy to promote brain structure, function, and neurobehavioral outcomes in preterm infants: a randomized controlled pilot trial protocol. Pilot and Feasibility Studies Palazzi, A., Meschini, R., Dal Magro Medeiros, M., Piccinini, C.A. (2020) NICU music therapy and mother-preterm infant synchrony: A longitudinal case study in the South of Brazil. Nordic Journal of Music Therapy Anderson, D.E., Patel, A.D. (2018). Infants born preterm, stress, and neurodevelopment in the neonatal intensive care unit: might music have an impact? Dev. Med. Child. Neurol. Filippa, M., Lordier, L., Sa De Almeida, J., Monaci, M.G., Adam-Darque, A., Grandjean, D.,…Hüppi. P.S. (2019) Early vocal contact and music in the NICU: new insights into preventive interventions. Pediatric Research Anolli, L. (2002) Psicologia della comunicazione. Bologna: Il Mulino Malloch, S. (1999) Mothers and infants and communicative musicality. Musicae Scientiae Trevarthen, C. (2008) The musical art of infant conversation: Narrating in the time of sympathetic experience, without rational interpretation, before words. Musicae Scientiae Stern, D. (1987) Il mondo interpersonale del bambino. Torino: Bollati Boringhieri ©2020 by Silvia Maserati
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